Domanda:
informazioni note e appunti sulla sociologia dei processi culturali?
2006-07-01 16:17:09 UTC
informazioni su che cos'è la sociologia dei processi culturali, note , saggi, appunti; globalizzazione nei processi culturali
Due risposte:
ღMiss Lillyღ
2006-07-01 16:33:49 UTC
Qui c'è la tesina



http://www.netone.flars.net/testiPDF/tesi_ClaudioA.pdf



Introduzione: Domanda e consumi di cultura

Negli ultimi anni sembra che la richiesta di attività culturali abbia subito un netto aumento, infatti, l’aggettivo “culturale” viene utilizzato sempre più frequentemente e abbinato a sostantivi, i più svariati: oggi si parla di “turismo culturale”, di “marketing culturale”, di “eventi culturali”, proprio come se tutto ciò che attiene al “culturale” sia nel bel mezzo di un processo di definizione/ridefinizione e di evoluzione per cui spesso alludendo al concetto di “marketing culturale” non si ha ancora chiaro che cosa sia, che cosa è stato e che cosa sarà. Si è ancora appunto in una fase transitoria, un po’ nebulosa, da cui non si può ancora vedere chiaramente che cosa ne uscirà, ma di cui si possono intravedere le “linee guida”. Stiamo ancora lavorando su un oggetto in evoluzione, di cui non è facile giungere ad una definizione, ma di cui possiamo di certo valutare pregi e difetti, ciò che funziona e ciò su cui si può lavorare per giungere ad una maggiore efficacia.

Oggi i termini “comunicazione” e “culturale” vanno sempre più spesso di pari passo come se la comunicazione avesse trovato un nuovo oggetto di cui parlare. In realtà si tratta di una situazione più complessa di quanto sembri, infatti, non si tratta solo di nuovi oggetti e argomenti di comunicazione, la comunicazione culturale fa riferimento ad un sistema che considera non solo il contenuto, l’oggetto di disquisizione1, ma prende in considerazione i soggetti emittenti e anche il pubblico verso cui è rivolta la comunicazione Oggi si usa il binomio comunicazione culturale in modo più cosciente e frequente in quanto si è assistito ad una professionalizzazione degli enti culturali (che perlopiù si sono moltiplicati in questi anni) riuscendo ad attribuire maggiore valore e attenzione sia all’offerta sia agli strumenti a loro disposizione per occuparsi di questo tipo di comunicazione.

1Si fa riferimento al modello tradizionale Emittente- Messaggio –Ricevente. Si tratta di un modello lineare in cui la comunicazione è vista come qualcosa che una persona “fa” ad un’altra. L’Emittente codifica idee in una sorta di messaggio e lo spedisce attraverso ad un canale (parole, scritti ecc) ad uno o più Riceventi. 1

Con il mio lavoro cercherò di offrire una panoramica di come la “comunicazione culturale” si orienta nel complesso mondo delle comunicazioni specifiche di alcuni ambiti, e di come si differenzia da altri “tipi” di comunicazione2.

Un nuovo bisogno emergente

Dall’ultimo rapporto di Federculture 20043 è emerso che le politiche culturali stanno acquisendo sempre più spazio tra le attività di programmazione pubblica e che il settore culturale ha risentito in misura ridotta della crisi generale che si è avuta nel 2003. Il potenziamento di sistemi e percorsi culturali può divenire “la vera carta vincente del paese”. Il decidere di investire in ambito culturale è giustificato, prima di tutto a causa dell’aumento della richiesta di quest’attività, e di conseguenza questo settore ha acquisito maggiore valore anche a livello economico. Inoltre la presenza di numerosi fondi, non solo nazionali e regionali, ma anche comunitari destinati, ad esempio, al recupero di centri urbani per il turismo culturale sono un’ulteriore riprova della crescita del settore “attività culturale”. Il settore sembra proprio essere diventato un settore in cui vale la pena di investire, sia in risorse umane sia finanziarie. Ma questo investire nel valorizzare la cultura deriva principalmente dal cambiamento nel tipo di approccio degli individui alla cultura.

É cambiato il modo in cui si percepisce la cultura: non si parla più di una cultura per pochi4, ovvero di una cultura destinata solo ai già “iniziati”, ma di un consumo di massa legato dalle strategie di commercializzazione degli eventi culturali (non bisogna, comunque, dimenticare che ciò che attiene al culturale non scinde dall’economico).

2 Si tratta, infatti, di un tipo di comunicazione che va distinta e non confusa con la comunicazione pubblica o sociale, anche se si tende a sovrapporle in quanto spesso gli enti culturali hanno anche un origine pubblica.

3Si fa riferimento a Politiche, strategie e strumenti per la cultura -2004

4Il rapporto di Federculture si basa su dati statistici, quindi forse per non rendere troppo complesso il lavoro di ricerca dati che vi è alla base, il termine “cultura” viene assunto come consumo di massa, viene considerato solo come elemento quantitativo e non qualitativo. In questo ambito eravamo interessati a questo aspetto della cultura. Nei prossimi capitoli si cercherà di capire anche che cosa si intenda per cultura, non solo nel senso più materiale.

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I dati Istat rivelano che la domanda di consumo d’arte e cultura sta crescendo e in maniera visibile, quindi si è verificato un aumento a livello quantitativo, ma a livello qualitativo? Un aumento quantitativo non significa un aumento del consumo di qualità in maniera direttamente proporzionale, ovvero un aumento del consumo con finalità educativa e di crescita culturale (come solitamente si associa all’idea di cultura). Interessante è anche il fatto che non solo sia cresciuto il consumo individuale di cultura, ma anche il consumo delle famiglie per la cultura, per cui si parla di un aumento del 2,1% rispetto al 2003 in cui si era già verificato un aumento del 12% rispetto all’anno precedente, il tutto inserito in un contesto in cui l’incremento del turismo culturale in Italia nel 2003 è pari al 24% rispetto al 19965.

Il culturale ha avuto modo di evolversi e di raggiungere un pubblico più vasto anche grazie alle “nuove tecnologie”, che sono andate a potenziare la comunicazione culturale fornendo una buona possibilità di diffusione, ad alcuni enti, il cui raggio d’azione in passato poteva coprire solo aree locali, ma che oggi possono raggiungere chiunque. Si parla sempre di una diffusione più ad un livello quantitativo che qualitativo; di certo la tecnologia ha contribuito a raggiungere in maniera più veloce un pubblico più ampio, e di certo l’informazione multimediale ha trovato spazio per parlare di mostre ed eventi culturali perché il suo pubblico ne ha fatto richiesta, ma fino a che punto la comunicazione culturale è stata completa ed efficace? A quest’esigenza di soddisfare il bisogno di “cultura”, come si è risposto? In che modo ci si è organizzati?

Istituzioni culturali ed eventi culturali

La logica della domanda e risposta nel mercato, ovvero alla domanda di determinato bene corrisponde un’offerta (più o meno ampia) di questo bene, è la stessa logica che si trova alla base del settore cultura, per cui si è cercato di soddisfare la domanda di cultura che è emersa nel pubblico. Ecco, infatti, che sono apparsi enti ed organizzazioni le cui finalità principali sono quella di valorizzare e tutelare il patrimonio culturale e quella di creare la comunicazione a proposito di esso. Queste nuove

5 Si fa riferimento ai dati pubblicati a cura del Ufficio Studi di Federculture consultabili on line al sito www.federculture.it in data 26 luglio 2005.

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associazioni ed istituzioni dalla natura e origine più varia si sono poste come obiettivo quello di rispondere in maniera professionale a questo tipo di richiesta.

Si tratta di un fenomeno in un certo senso ciclico, ovvero non è detto che la nascita del bisogno culturale sia sorta prima dell’offerta di cultura. Spesso domanda ed offerta si creano vicendevolmente, non si sa quale sia il motore primo, se la domanda ha dato inizio al processo, o viceversa, di certo, però questo processo risulta circolare. Non è questa la sede per discutere da che cosa ha origine il tutto, se il bisogno derivi da un eccesso di offerta, o viceversa che l’offerta nasca da un’insistente richiesta, bisogna solo constatare che si è assistito ad un aumento della comunicazione culturale ed alla conseguente strutturazione del settore culturale.

Ci troviamo di fronte ad istituzioni che spesso si occupano in maniera esclusiva di comunicazione rivolta alla valorizzazione e promozione della cultura. Ora, infatti, musei, biblioteche, Istituti di cultura, Enti del turismo ecc. si occupano in maniera più professionale di catturare il proprio pubblico, non solo organizzando particolari eventi, ma anche informandolo in maniera dettagliata di che cosa avverrà e cercando di fornire anche i retroscena culturali, i “perché” dell’evento, cercando di rendere partecipe il pubblico e di “integrarlo” con quanto sta avvenendo. Si è più focalizzati verso il pubblico dei fruitori piuttosto che verso la ricerca di meri finanziatori e fondi, perché è stata rivalutata la loro funzione all’interno dell’economia delle istituzioni, e si ha bisogno di sensibilizzarli.

D’altronde in Italia il patrimonio culturale è di dimensioni e valenza eccezionali, e ha una diffusione capillare su tutta la superficie italiana, tanto che spesso il nostro Paese viene definito con l’espressione di “museo a cielo aperto”. Di conseguenza non abbiamo potuto che adeguarci a questa definizione dell’Italia e attrezzarci a fare uso di questa nostra ricchezza in maniera produttiva e proficua.

La cultura e la comunicazione culturale sono diventate un settore importante d’investimento e rilevante dal punto di vista che riguarda l’istruzione, che ha deciso di occuparsene direttamente con l’istituzione di master e di corsi di formazione per la creazione di personale specializzato in questo tipo di comunicazione. Non si lascia più il tutto assegnato al caso o ad impreparati, oggigiorno si ha una figura specializzata che riveste il ruolo di responsabile della comunicazione e dell’ufficio stampa. Ad esempio

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nella Carta nazionale delle professioni museali pubblicata a luglio dall’ICOM6, si parla di un responsabile della comunicazione e dell’ufficio stampa che è visto come il garante di una “corretta ed adeguata diffusione della mission, del patrimonio e delle attività del museo tramite opportune modalità di comunicazione e appositi materiali informativi”7. Questo responsabile non viene semplicemente elencato tra una serie di figure presenti all’interno del museo, ma se ne definiscono in maniera specifica i requisiti per l’accesso alla carica, il tipo di responsabilità che deve essere in grado di assumersi, gli ambiti degli incarichi che dovrà ricoprire e i compiti che deve essere in grado di assolvere. Un aspetto interessante della categorizzazione di questi professionisti consiste nel fatto che il responsabile della comunicazione viene inserito tra i responsabili dell’ambito amministrativo, finanziario, gestionale e della comunicazione, come ad indicare che il suo ruolo possa essere posto sullo stesso piano di un responsabile amministrativo, o di un responsabile per lo sviluppo, in modo tale da risultare una figura centrale e nodale per lo sviluppo del museo. Naturalmente visti gli ultimi sviluppi tecnologici il responsabile della comunicazione è affiancato anche da un responsabile del sito web con cui ottimizzare e gestire l’area del sito web dedicata all’ufficio stampa.

Come per i musei anche in altri enti che si occupano di cultura si è andata delineando una figura specifica addetta alla comunicazione culturale. Sembra proprio che si possa parlare di una comunicazione culturale a tutti gli effetti. Ma in che modo è effettivamente possibile parlare di comunicazione culturale? Si può affermare che sia una comunicazione che ha ricavato un suo spazio di comunicazione con specifiche tecniche ed obiettivi? Oppure si tratta pur sempre di una sottocategoria di comunicazione pubblica?

6La Carta nazionale delle professioni museali pubblica da dall’ICOM il 4 luglio 2005 considera quattro macroaree di attività all’interno del museo, ovvero ambito ricerca, cura e gestione delle collezioni,ambito amministrativo, gestionale e della comunicazione, ambito servizi e rapporti con il pubblico e il territorio, ambito strutture e sicurezza.

7 Cit. p. 35 della Carta nazionale delle professioni museali.

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Comunicare l’evento culturale. Un nuovo oggetto di comunicazione?

Abbiamo appena visto come sia formata una figura professionale che si occupi di comunicazione culturale, ma è proprio parlare di comunicazione in senso culturale? Dipende solo dall’oggetto della comunicazione o sono altri gli elementi che permettono il binomio culturale-comunicazione?

Per necessità e per avere una visione schematica e semplificata si tende a dividere la comunicazione in maniera settoriale, ad esempio Rolando Stefano8 utilizza una matrice composta da tre tipi di competenze per potere classificare il tipo di comunicazione, ovvero, competenze funzionale (es.: ufficio stampa), competenza territoriale (es.: provincia di Verona) e competenza settoriale (es.: Azienda sanitaria locale). Le tre variabili della matrice si combinano tra loro in tutti i modi possibili. La conquista della specificità settoriale, ovvero il legame con uno specifico ambito indipendentemente dall’essere territoriale, storico, di finalità, è recente e si è rivelato centrale e fondamentale. La comunicazione, infatti, non è una tecnica trasferibile tout court in qualunque contesto indipendentemente dai problemi e dalla complessità della situazione, perché in uno stesso settore vi è ruolo per più soggetti pubblici, privati, associativi che compongono un sistema di relazioni multidirezionali ed esercitano legittime parzialità riguardo all’interpretazione di ruolo all’interno di un contesto comune, perché la conoscenza delle altrui parzialità deve essere messa in relazione con la conoscenza della dovuta normativa del settore e quindi alla regole che fissano la legittimità o l’illegittimità di comportamenti.

Sembra quindi che la settorialità della comunicazione culturale sia necessaria per avere una comunicazione efficace e per potere valorizzare i pregi della cultura. La comunicazione della cultura è parte integrante della cultura e leva strategica d’importanza cruciale. D’altronde la cultura è il risultato di un processo di scambio, interazioni, imitazione, scelte di linguaggio e modalità espressive.

8Rolando Stefano (a cura di) Teoria e tecnica della comunicazione pubblica. Dallo Stato Sovraordinato alla sussidiarietà, Etas, Milano, 2003. In particolare si fa riferimento al capitolo 15 “Società, cultura , economia. Aree di patto pubblico-privato” 6

Come si può parlare di comunicazione pubblica, politica, sociale, oggigiorno si può parlare anche di comunicazione culturale a tutti gli effetti, in quanto essa non si differenzia solo in base all’oggetto, ma anche per altri fattori di cui abbiamo appena parlato. I confini per una definizione non sono ancora netti e stabili -come capita anche per altre forme di comunicazione- non sempre tutte le comunicazioni sono classificabili in maniera netta e nitida, ma possono rientrare in più categorie. Forse la comunicazione culturale si pone in un’area compresa tra comunicazione pubblica e sociale9, i cui confini sono un po’ labili e mobili in quanto spesso sia emittenti che finalità si sovrappongono. Può essere vista come incentivo da parte di soggetti istituzionali alla fruizione del patrimonio, ma anche come parte di un piano di marketing di un singolo museo; si vede qui che appunto si potrebbe fare rientrare nella categoria di comunicazione pubblica in quanto spesso sono soggetti istituzionali pubblici che si occupano anche di questo tipo di comunicazione, però si vede anche che altri enti sia privati che statali, come possono essere i musei, si dispongono per questo tipo di comunicazione, rivolgendo attenzione non solo verso la cultura di conservazione ed esposizione, ma anche verso il pubblico e il mercato. L’interazione tra il pubblico e queste organizzazioni dà modo all’erogazione integrata di servizi informativi che stanno alla base di una buona strategia comunicativa.

La stessa funzione di valorizzazione dei beni culturali, sostegno alla fruizione e accrescimento del soddisfacimento d’interessi generali sono forme di comunicazione e forniscono principi base per l’organizzazione dei messaggi che appunto si concretizzano in mostre, in eventi celebrativi e percorsi guidati. Trattandosi di comunicazione, non ci si preoccupa solo del contenuto, ma anche delle modalità con cui si attiva. Esistono, infatti, varie modalità di informare il pubblico sull’esistenza di un’offerta e di orientarlo nelle scelte. La comunicazione culturale sta sviluppando competenze specialistiche per una comunicazione di tipo integrata in cui esista coerenza, unitarietà di fondo nella scelta dei messaggi, degli strumenti e dei canali prescelti per contribuire alla creazione di un’immagine forte e attrattiva.

Esiste certamente una comunicazione che si occupa specificamente di cultura, che ha ritagliato un suo spazio, che si è adattata ad uno specifico settore, che ha acquisito

9 si potrebbe anche sostenere che la comunicazione culturale abbia alcuni tratti tipici della pubblicità in quanto come questa ha la finalità non solo di informare, ma ha una capacità attrattiva.

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una specifica competenza tecnica e di strumenti, ma che alcune volte sfumare in altre categorie di comunicazione (come avremo modo di vedere nel settimo capitolo). Le linee di confine della comunicazione culturale sono definite, ma forse non in modo così stabile e inflessibile; possiamo vedere aree in cui si presentano aspetti comuni che portano a sovrapposizioni, per esempio con la comunicazione pubblicitaria, con quella pubblica, o con quella sociale, poiché spesso le finalità di questi tipi di comunicazione risultano in qualche modo interscambiabili.

Le domande che stanno alla base del mio lavoro riguardano principalmente quanto la comunicazione culturale abbia importanza per la definizione de il culturale: se non si disponesse della comunicazione culturale percepiremmo comunque il culturale come tale? È quindi efficace la comunicazione culturale? In che modo si pone il pubblico nei confronti del bene culturale? È un suo bisogno intrinseco oppure gli è imposto dalla comunicazione? Queste sono alcune delle domande che mi sono posta di rispondere. Attraverso questo lavoro, più che definire che cosa sia la comunicazione culturale, si cercherà di evidenziare in che cosa essa sia maggiormente efficace, in che cosa pecca e come fa tutto ciò. Mi sono proposta di analizzare, prima di tutto, che cosa sia l’oggetto di questa comunicazione, ovvero che cosa sia il bene culturale, (in quanto è su il culturale che si focalizza questa forma di comunicazione), per poi parlare delle tecniche impiegate al fine di essere efficace, e del tipo di pubblico verso cui si orienta, ed infine, cercare di capire il perché vedere abbiamo così bisogno della comunicazione culturale.

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Capitolo 1 Il patrimonio culturale

Una definizione materiale

In questi anni, a riconferma della crescita della sensibilità nei confronti del culturale di cui si è già accennato nell’introduzione, si è provveduto alla definizione di un nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio, entrato in vigore il 1° maggio 2004. È molto significativo che lo stesso legislatore abbia sentito la necessità di regolare questo settore, infatti, questo settore si trova in un periodo di forte sviluppo, ma carente di un’aggiornata10 regolamentazione in materia a causa della poca attenzione che nel passato vi è stata prestata. Per avere un chiaro riferimento, per sapere a che cosa ci riferiamo nel momento in cui si parla di “bene culturale”, prendiamo in considerazione la definizione che viene istituita con la L.310/1964, e le sue successive modifiche, fino ad arrivare alla più recente proposta dal D.lgs. 22/1/2004.

La Commissione11 parlamentare mista per la tutela e la valorizzazione del patrimonio archeologico, artistico e paesaggistico, di cui fu presidente l’On. Francesco Franceschini, definì il bene culturale attraverso l’elencazione delle categorie nelle quali viene ad articolarsi il patrimonio culturale; il bene culturale figura come un oggetto definito ed identificabile con chiarezza; solo gli elementi elencati possono essere beni culturali. Abbiamo, quindi, un insieme di elementi definiti e solo essi sono patrimonio culturale. In questo modo si ha una limitazione di ciò che può essere bene culturale, focalizzandosi solo su ciò che rientra in quelle categorie: non si tratta di una definizione

10 In realtà una nuova definizione di “bene culturale” era stata data nel D.lg. 112/1998 e poi nel D.lg. 490 dell’anno successivo, quindi è oramai più di un po’ di anni che si è particolarmente sensibili nei confronti di questo argomento, forse vista la fonte di ricchezza che si sta rivelando. Risulta quindi che sia un settore in costante evoluzione e che per ciò ha bisogno sia di definizioni che di normative continue.

11 La Commissione Franceschini istituita con L 310/1964 dopo due anni di lavoro presentò una relazione dal titolo “Per la salvezza dei beni culturali in Italia” che conteneva appunto al definizione qui riportata.

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di esso per esclusione, ma per inclusione, ovvero il bene deve essere l’oggetto, deve avere quella determinata caratteristica, non essere la negazione di qualcosa, ovvero un non-essere. Si tratta quindi di possedere delle precise caratteristiche, (e non di non-essere qualcosa.).

Questa definizione risulta articolata in specifici oggetti e, di conseguenza, poco aperta a potenziali cambiamenti e a nuovi elementi. Forse per questa ragione, alla fine della definizione viene aggiunta una sorta di postilla per cui è bene culturale ciò che “che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà”; in questo modo la definizione generale di bene culturale viene formulata come inciso, come eccezione alle regole specifiche, in quanto si riferisce ai beni non compresi delle categorie specificate che includono, con precisione e con una particolare attenzione pratica, gli oggetti che “fisicamente” costituiscono il patrimonio culturale, ovvero i beni immobili, le raccolte di musei, gli archivi, le raccolte librarie, le collezioni e gli oggetti le cui caratteristiche risultano di interesse artistico, storico, archeologico (ambiti a cui fa riferimento esplicitamente il testo normativo 12).

Considerare il bene culturale come “testimonianza materiale” può fare pensare ad una definizione troppo generica del concetto, ma, di fatto, essa individua nella forma più sintetica e precisa le caratteristiche essenziali che un bene culturale deve possedere a monte della sua articolazione in categorie. Si può essere tratti in inganno dal fatto che questa definizione nasca solo in un secondo tempo, nel momento in cui i beni non rientrano nell’elenco ben definito, per cui si potrebbe pensare che tutto ciò che si vuole fare rientrare nella categoria di bene culturale e non sia un bene elencato venga forzatamente fatto rientrare in questa definizione adattata. In realtà questa definizione, per quanto generica, si basa pur sempre su un principio di inclusione, per cui se il bene

12 Secondo l’art. 2 del Codice dei beni culturali e del paesaggio il patrimonio culturale (2004) “è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici”. Per beni culturali intende “ le cose immobili e mobile che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”. Per beni paesaggistici invece intende “gli immobili e le aree indicate dall’art 134, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge”. L’articolo 10 del codice propone un elenco di ciò che è classificabile entro questa categoria.

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non possiede le caratteristiche richieste nella definizione, esso non può essere di tipo culturale.

Da questa definizione si colgono le caratteristiche fondamentali del bene culturale: il bene deve essere testimonianza materiale e deve avere valore di civiltà. In questo modo i pensieri, le riflessioni, le parole diventano beni culturali solo quando sono raccolti in quadri, in edifici, in libri, che in un certo senso li fissano facendoli diventare dei “beni” materiali. Oltre al fattore materiale, devono anche avere valore di testimonianza di civiltà, ovvero dimostrare un legame forte con la società che li ha prodotti o in cui sono inseriti.

La terminologia usata dalla Commissione Franceschini (1964) ha quindi proposto una definizione alla cui base sta la dimensione materiale del bene, dimensione sempre considerata basilare sin dalla prima legge di tutela del patrimonio artistico, istituita nel 193913, legge che però rifletteva un modo oggi superato di concepire la politica di tutela dei beni culturali. La legge del 1089/1939 muoveva, infatti, da una concezione di intervento pubblico con la sola finalità di conservazione fisica delle cose di interesse storico o artistico, mentre il lavoro della Commissione Franceschini sposta l’attenzione verso una nuova prospettiva per cui il regime giuridico si sarebbe imperniato sul valore culturale, che non è rappresentato dall’oggetto materiale nella sua estrinsecazione fisica, ma dalla funzione sociale del bene, visto come fattore di sviluppo intellettuale della collettività. Quindi anche se persiste la dimensione materiale del bene, essa perde un po’ quel vincolo fisico che esisteva nel 1939.

La definizione adottata dal 1964, in uso fino al 199914, ha avuto il pregio di essere un primo passo verso una nozione di bene culturale innovata, in quanto si stacca un po’

13 Nel 1939 si ebbe una sorta di svolta nella legislazione dei beni culturali. Nel 1902 era stata istituita la prima legge sulla tutela del patrimonio artistico. Ma solo con la l. 364/1909, detta legge Rosadi che si ebbe un sistema sufficientemente organico di tutela. Dal 1909 al 1939 non vi era stato alcun provvedimento nel settore per i beni culturali, solo nel 1939 si ebbe una svolta. Il ministro dei beni culturali Giuseppe Bottai con la collaborazione di Giulio Carlo Argan e Roberto Longhi emanò due leggi gemelle, una sulla tutela delle cose d’interesse artistico e storico, 1/6/1939 n. 1089, e una sulla protezione delle bellezze naturali, 29/6/1939 n. 1497.

14 Entra in vigore nel 1999 il Testo Unico dei beni culturali e ambientali. Fino al 1999 le due leggi del 1939 erano rimaste completamente in vigore, e il Testo Unico le ha recepite comunque in maniera

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del bene nel senso fisico più stretto; il bene era solo ciò che rientrava nelle tradizionali categorie delle “cose immobili e mobili che presentavano interesse storico, artistico, archeologico o etnografico” (categorie fissate dalla legge del 1089/1939), mentre ora il bene può essere anche una delle “testimonianze materiali aventi valore di civiltà”.

Una definizione innovata di bene culturale

La concezione del bene culturale sta lentamente cambiando, ci si sta spostando verso una nozione di bene che sia meno “stretta”, che permetta non solo a categorie prefissate di rientrarvi; si inizia a cogliere la dimensione meno materiale, infatti, ha acquisito rilevanza anche la sua dimensione sociale, come fattore di sviluppo della collettività.

Nel Testo Unico del 1999, istituito con il D.Lgs.29/10/1999 n. 490, viene adottata una nozione di bene culturale leggermente modificata rispetto a quella utilizzata fino a quell’anno (fino al 1999 era in uso la definizione fornita dalla Commissione Franceschini nel 1964); infatti i beni culturali ora vengono definiti come “quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demo-etno-antropologico, archeologico, archivistico e librario e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”.

La definizione strutturata nel Testo Unico rimane pur sempre una definizione normativa di bene culturale, ma con una piccola novità: la materialità del bene non costituisce l’elemento centrale della definizione, ora è il valore culturale che impronta il contenuto della definizione normativa15. Ora si considera solo una delle due caratteristiche necessarie per definire un bene culturale, l’aggettivo “materiale” non è più considerato nella definizione, il bene culturale è inteso ora solo come “testimonianza avente valore di civiltà”, il che crea un po’ di caos nell’individuare quali

integrale, mentre il Codice dei beni culturali (2004) rappresenta un’innovazione anche se si muove sempre nel solco della tradizione aperta da Bottai.

15 Nonostante le definizioni appaino molto simili, il cambio o in questo caso l’eliminazione di un aggettivo possono fare rilevare una notevole differenza nel significato e soprattutto nella predisposizione mentale che vi sta alla base.

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siano i beni culturali al di fuori di quelli elencati negli artt. 2 e 3 del Testo Unico. Essendoci una qualifica in meno da rispettare, i beni sembrano diventare infiniti, meno individuabili, sembra che tutto possa essere fatto rientrare nella qualifica di bene. Sembra che sempre più beni possano rientrare nel patrimonio culturale, per evitare questo caos e per semplificare il processo di selezione i beni devono essere individuati da leggi.

Questa definizione apporta di certo un’innovazione, l’assenza dell’aggettivo materiale indica una rivalutazione generale del bene, bene che non è più legato in maniera imprescindibile ad una cosa, ad un oggetto, ma anche le attività più astratte possono rientrare nella categoria di bene. Le attività di pensiero, le riflessioni, le parole, sembrano potere finalmente entrare a fare parte di questa categoria in modo pieno e libero. Questo tipo di attività, che per un certo senso può essere considerata attività culturale, non va confusa con questa; pensieri, riflessioni e opere sono beni culturali, e non attività culturali.

Si pensava che questa definizione potesse finalmente riassorbire la distinzione esistente tra bene culturale e attività culturale; se si intende per attività culturale “quella rivolta a formare e a diffondere espressioni della cultura e dell’arte”, questa non è ancora inclusa nella definizione di bene culturale, non rientra appieno nella definizione di bene, ed, infatti, è definita separatamente nell’art. 148. Nonostante l’astrazione proposta dalla definizione di bene che sembrerebbe fare rientrare la definizione di attività culturale in quella di bene come sotto categoria, in realtà le attività culturali continuano ad essere gestite con norme a parte, hanno una sorta di “amministrazione” speciale che le riguarda, anche se spesso hanno i requisiti per rientrare nella categoria dei beni culturali. Esse, infatti, continuano ad essere considerate delle attività-strumento a supporto dei beni culturali, non sono i beni stessi. Ciò non toglie il loro valore al fine di fare cogliere l’aspetto immateriale del bene.

Tornando a parlare del bene culturale, comunque, dobbiamo dire che la concezione di esso si è “svecchiata”, il suo aspetto immateriale è stato rivalutato e riapprezzato anche se l’idea di bene non riesce a scindersi in maniera definitiva dalla sua anima materiale, è sempre legato in qualche modo in maniera inseparabile alla cosa fisica. Per poter apprezzare appieno la dimensione immateriale del bene sono apparse, come sopra dicevamo, quelle attività culturali di supporto e per la valorizzazione.

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L’attività di valorizzazione, ovvero l’attribuzione di un valore aggiunto all’oggetto, l’attribuzione di un significato particolare, risulta essere fondamentale per evidenziarlo e incrementarne il valore; il bene culturale perde in qualche modo valore se non interviene questa attività complementare a valorizzarlo, a farne appezzare il lato più astratto che potrebbe rimanere nascosto e incolto. Ecco che le attività culturali (che non vanno confuse con il bene stesso) intervengono in supporto, come attività relative ai beni culturali per la progettazione e la promozione16 di essi stessi.

Con l’eliminazione della connotazione materiale del bene si ottiene una flessibilità della categoria dei beni culturali, si fa un passo avanti nella evoluzione della definizione, per cui un bene, non essendo più solo bene in senso materiale, ha bisogno di un’attività alle sue spalle che lo faccia considerare come un bene, che lo renda un bene. Un pensiero non sarebbe apprezzato probabilmente se qualcuno non lo facesse rientrare nella categoria di un bene culturale; l’intervento che viene fatto per valorizzare un’idea, per darle rilievo, è fondamentale per farla rientrare nella categoria di bene, quindi si potrebbe osare dire che le attività culturali sono il bene in sé, in quanto creano il valore di civiltà che porta a considerare il pensiero, la riflessione, l’idea, o qualunque elemento non dotato di fisicità, in maniera concreta come se fosse un bene in senso fisico17.

Si può quindi parlare di una sorta di apertura della definizione di bene culturale, dove molti più elementi posso rientrarvi, ma è anche vero che si trovano delle difficoltà nel staccarsi completamente dalla dimensione materiale. Anche gli elementi più astratti per essere apprezzati e colti devono essere in qualche modo materializzati, o almeno colti come bene culturale in maniera esplicita. Infatti, nella definizione del bene intervengono sia delle leggi e delle norme che in maniera esplicita definiscono la cosa, rendendola in un certo senso meno astratta, concretizzandola per quanto possibile, sia le attività culturali che svolgono la stessa funzione di fare percepire il bene come tale. In tutto il processo di definizione di bene e di farlo percepire come tale, bisogna quindi

16 Tra le attività di promozione e valorizzazione va inclusa principalmente anche la comunicazione culturale, che come vedremo ha tra le sue finalità quella di promuovere il bene e la cultura in generale.

17 Nonostante venga eliminata la dimensione fisica del bene, l’idea di bene è ancora strettamente legata ad essa. D'altronde è più semplice ed intuitivo apprezzare un oggetto materiale, ben determinato fisicamente, piuttosto che un’idea astratta ed impalpabile.

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sempre tenere presente sia la dimensione fisica dell’elemento, sia quella astratta, per cui il bene risulta un oggetto di interesse culturale con una dimensione materiale, ma anche con funzione sociale, e per potere essere considerato come un bene culturale, deve essere percepito come tale dalla collettività, e quindi deve essere pensato come fattore di sviluppo della collettività, come un fattore che crei una sorta di identità riconoscibile da tutta la collettività.

Le tipologie –classi naturalmente “aperte”- di bene culturale che vengono adottate sono sei, e devono riguardare interesse di tipo “artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico” (come elencati nel Codice dei beni culturali e del paesaggio 2004), qualità che sono in maniera implicita già incluse nella categoria più vasta e generale di “testimonianze aventi valore di civiltà”. La definizione di cosa rientra nella categoria di bene culturale si gioca sempre entro due estremi, l’“elencazione” di specifici ambiti degli oggetti, quale può essere quello storico o artistico, e la più nebulosa idea di testimonianza di civiltà18, che solleva la definizione da una concezione materiale di bene culturale, ma le fa assumere un valore di tipo sociale.

Complessivamente la definizione di bene culturale è cambiata notevolmente. Non si elencano più semplicemente quali oggetti mobili ed immobili possono essere definiti come tali, si possono ora includere molti altri elementi, non più legati ad una dimensione materiale, ma che sono percepiti come culturale dal pubblico e dalla collettività. In questo modo si inizia a notare anche l’importanza, per non dire la fondamentalità, del pubblico nel definire cosa sia un bene e soprattutto il valore aggiunto che viene dato all’elemento-bene. Coinvolgendo il fattore pubblico-collettività, bisogna anche tenere presente che spesso esso è costituito non da un gruppo ristretto di persone, ma da un gruppo di persone più vasto, per cui riuscire a soddisfare il suo bisogno di bene culturale può risultare abbastanza complesso e spesso bisogna prevedere una gamma di beni più vasta. Il bene culturale si amplia anche in questo senso, e quindi per soddisfare il vasto pubblico, l’offerta propone una vasta gamma di

18 Si tornerà sulla definizione di “testimonianze aventi valore di civiltà” in quanto il concetto di civiltà è un concetto alquanto astratto che implica un complesso sistema di valori e abitudini che si inserisce nella definizione decisamente complicata di che cosa sia la cultura.

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beni culturali per soddisfare le mille sfaccettature della collettività, per svilupparla in maniera comunitaria e fornirle delle basi comuni.

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http://www.tesionline.it/consult/pdfpublicview.asp?url=../__PDF/12673/12673p.pdf





http://www.uninettuno.it/materiali/T/1798/163/1-26/659/12/1782/dispensaleculturedelturismo2004_barberani.doc
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2006-07-01 16:31:57 UTC
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